da Macaco » 03/07/2014, 21:21
In un'altra parrocchia il Don ne aveva aveva parlato. Qualcuno lo ricorda ?
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Sogni ed incubi.
Eppure il vecchietto faceva una vita abbastanza tranquilla, per quanto potesse definirsi tale quella di un soggetto sottoposto a continuo monitoraggio sanitario per l'acuirsi di patologie pregresse.
Comunque alla sera gli era stato vietato il vino. Meglio così. Era bastata la sola acqua ad accompagnare la minestrina, la sogliola lessata e la mela cotta. Quindi non c'erano pesi sullo stomaco a tenere lontano Morfeo. Dormiva poco, però erano più gli incubi che i sogni a tenere allertata la mente, provocando tristi e bruschi risvegli mettendo addosso un malumore che permeava anche le ore del giorno.
Un sogno (o meglio un incubo) ricorrente riguardava le ferrovie del passato. Da giovane gli piaceva quell'ambiente ma, con l'età avanzata, si era quasi disintossicato. Però, come ombre di un lontano passato, treni e stazioni emergevano dall'inconscio e prendevano vita nell'attività onirica del povero anziano.
Sognava le grandi stazioni brulicanti di sterminate maree di frettolosi viaggiatori. Operai, impiegati, studenti, commercianti, giovani e meno giovani ma tutti distratti, arrabbiati, scontenti di viaggiare, qualunque fosse la destinazione o la ragione dei loro spostamenti. Nel sogno il vecchio, vedendo tutta quella tristezza, ne restava a sua volta addolorato. Sempre nel sogno aveva suggerito ad una giovane laureanda in psicologia di elaborare una tesi sperimentale di laurea indagando proprio sulla influenza negativa che il pendolarismo genera nelle persone.
Come lo scorrere di un film vedeva nella sua mente lunghe file agli sportelli delle biglietterie, colonne di carretti e carrettini stracolmi di merci di ogni genere trainati a mano da un esercito di laboriosi facchini in livrea, quasi fossero dipendenti di un Grande Hotel. All'interno della stazione vedeva un continuo andirivieni di ferrovieri. Ma la cosa strana era che anche questi avevano una espressione abbastanza corrucciata. La visione notturna proseguiva facendo vedere tutto quel personale in un frenetico lavoro. Alcuni di questi si mostravano addirittura irascibili sia nei confronti del pubblico che verso i propri colleghi.
L'indole curiosa del vecchio era sempre viva, anche nel sogno. Non riusciva a farsene una ragione. Come era possibile che i ferrovieri, lavoratori non a rischio di cassa integrazione e licenziamenti, per giunta con un buon stipendio fossero così scontenti della loro professione. Proprio non se lo spiegava. In altri settori c'era una crisi galoppante, la disoccupazione era alle porte e per molte famiglie si prospettava un futuro fatto di fame, lacrime e sangue. Notava anche che tra le brevissime pause lavorative si formavano gruppi di questi ferrovieri e, alla maniera degli adepti delle società segrete, confabulavano tra di loro quasi tramassero chissà quali piani eversivi. La cosa non passava inosservata. Il vecchietto si agitava nel sonno e la sua mente, anziché riposare, si arrovellava scrutando i capannelli di quei ferrovieri. Sapeva anche che gli incassi in quelle stazioni erano consistenti. Più volte nel corso della giornata le gestioni portavano notevoli somme all'ufficio Cassa, dove passavano gli impiegati della banca a ritirare il contante. A quel tempo non c'era la crisi nelle ferrovie e le grandi stazioni era produttive quasi o più di una fabbrica.
Sempre sognando, gli si accavallavano ricordi di altri e ben diversi ambienti ferroviari. Quelli delle piccole stazioni. Nel sogno associava quella pace e quella tranquillità ad alcuni ferrovieri dormienti all'ombra di un sombrero messicano, in una lunga e ronfante siesta, mentre altri si stendevano sulle panche nelle fresche e deserti sale d'attesa.
Quanto contrasto c'era tra questa visione e quella delle grandi stazioni!!!
Ma, sogno nel sogno, anche questi placidi ferrovieri sognavano e sapete cosa? Di essere nelle grandi stazioni. Di trovarsi in una grande città. Di vivere freneticamente il turno di lavoro, e non ti accorgevi del passare del tempo. E mentre sognava, il vecchietto sentiva, come i sognanti ferrovieri delle piccole stazioni, lo stridere delle cicale nell'afa dei pomeriggi estivi ed il “tac” dello scatto della zona dell'Orologio Registratore. Il bem taceva. C'erano ampi vuoti di circolazione tra i pochi treni del mattino e si aspettavano gli altrettanti pochi treni della sera. Il merci del pomeriggio era stato soppresso.
I ferrovieri, come tutti gli esseri umani non sono mai contenti del loro lavoro. Queste erano le considerazioni che venivano elaborate dalla mente del vecchio mentre gli occhi si muovevano sotto le palpebre chiuse, segnalando una intensa attività cerebrale durante una fase di “sonno rem”.
Il vecchio si sveglia. Deve andare a fare la pipì. Gli succede più volte nella notte. Sono alcuni degli effetti secondari dei farmaci assunti. Il sogno si interrompe ma resta nell'animo un sordo malessere. Se i sogni sono la valvola di sfogo del nostro subconscio, dovrebbero essere liberatori e non creare stati ansiosi. Beate quelle persone che al risveglio non ricordano niente di quello che hanno sognato. Così il povero vecchietto continuava a girasi e rigirasi nel letto e continuava a chiedersi il perchè di quei sogni. Quale recondito messaggio gli stava lanciando la stanca mente? Solo verso l'alba riprese sonno ed il film onirico riprese a scorrere.
Su una fredda panchina all'esterno dei fabbricati di una di quelle grandi stazioni stava sdraiato un barbone lacero, sporco e di età indefinibile. La cosa che incuriosì il nostro sognatore era il vestito , o meglio quello che restava di ciò che una volta era la divisa di un ferroviere. Il barbone parlava da solo ma sembrava raccontare ad una platea immaginaria gli episodi della sua vita. Il vecchio gli si avvicinò ed in silenzio si pose ad ascoltare con attenzione il racconto.
Il barbone era stato un Capostazione. Un semplice DM, uno dei tanti, senza infamia e senza lode, con professionalità sufficiente a farli svolgere le normali mansioni della qualifica. Aveva girato un poco nelle piccole stazioni, prima di approdare in una grande stazione, attirato dal grande Apparato Centrale Elettrico. A dire la verità l'apparato non stava proprio nell'ufficio del DM Interno ma in un altro edificio. Una cabina sopraelevata in cui oltre ai deviatori vi prestava un altro DM. Ma a lui capitò, invece, di essere mandato a fare il DM Esterno, ossia quello che va a fare la paletta ai treni. Con il berretto rosso in testa e paletta sotto il braccio sgambettava per il piazzale, sui marciapiedi, si soffermava a dare informazione ai viaggiatori, andava al bar con i facchini, e parlava con tanti colleghi della stazione. Mangiava nella mensa del dopolavoro ed era un assiduo frequentatore delle attività di questo sodalizio. Frequentando i colleghi venne messo a conoscenza di una quantità di segreti . In primo luogo venne a sapere delle ragioni del malcontento dei ferrovieri delle grandi stazioni. Erano davvero incavolati neri. Loro si sentivano nettamente superiori ai tanti “peones” che lavoravano lungo la linea. Il loro astio nasceva anche dalla quantità del lavoro svolto e della loro alta produttività rispetto a quelli scansafatiche che “riposavano” nelle piccole stazione di linea. Ma ciò che li urtava ancora di più era lo stipendio uguale per tutti. Secondo loro non era per niente giustificabile. Anzi se lo stipendio restava a quei livelli era proprio dovuto alla presenza di tutto quel personale ritenuto eccessivo ed improduttivo. Animati da questi sentimenti si stavano organizzando per fare una rivoluzione. I cospicui incassi della grande stazione doveva servire a pagare i ferrovieri che operavano in quella stazione e non anche gli altri. In questo modo il loro maggior lavoro avrebbe trovato la giusta remunerazione. Altri, invece, più moderati avanzavano altre pretese. La retribuzione dei ferrovieri doveva essere rapportata alla effettiva quantità e qualità del lavoro svolto. Ai ferrovieri veniva data facoltà di scelta delle località dove volevano lavorare. Ne sarebbe scaturita una graduatoria per ogni singola qualifica. Un punteggio aggiuntivo, abbastanza consistente, veniva attribuito ai nati e residenti nel posto scelto. Erano anche convinti, e non a torto, che anche i vertici delle ferrovie erano propensi ad una tale ristrutturazione.
Il barbone non era proprio d'accordo. Lui nelle piccole stazioni c'era stato e sapeva che non era affatto vero che nelle piccole stazioni non si lavorava. Era un lavoro diverso, discontinuo semmai, ma più vario e necessario di molte e diverse professionalità rispetto a quelle specifiche di un agente delle grandi stazioni, addetto esclusivamente ad un ben determinato settore lavorativo. Quell'ex Capostazione portava anche altre tesi a suffragio del suo discorso. Se le grandi stazioni avevano grossi traffici e grandi introiti era anche perché i treni, per arrivare là, dovevano passare per forza anche dalle piccole stazioni. Era come una rete di piccoli fiumi che portano le loro acque ad un fiume più grande, ad un lago od il mare. Eppoi la ferrovia non era una Azienda Unica? Non era forse stata formata unificando diverse società ferroviarie? Non erano forse tutti uguali i ferrovieri?
Esternando queste sue idee il barbone, già ex DM, venne da subito emarginato dai colleghi della grande stazione sia sul lavoro che nelle attività ricreative del dopolavoro. Oggi si direbbe che fu oggetto di “mobbing”, tanto che il povero cristo scelse di tornare a lavorare nelle piccole stazioni. Però, nel frattempo, stavano cambiando tante cose. I vertici delle ferrovie stavano attuando tutta una serie di trasformazioni. Non che volessero dare ascolto alle istanze del personale delle grandi stazioni ma , gettato il seme della “produttività”, ne stavano venendo fuori prima le piante e poi i frutti. Essì ! Entriamo in tema alboricolo. Si inizia a parlare di “rami secchi”, da tagliare per permettere alla pianta di “sopravvivere, crescere e rigenerarsi”. Non era forse ciò che volevano i ferrovieri delle grandi stazioni? Così il barbone, iniziò a passare da una stazione all'altra man mano che esse venivano chiuse, perdendo un poco alla volta l'affezione per il proprio lavoro e fino a soffrirne tanto da dare un calcio alla vita civile lasciandosi andare all'alcol ed alla solitudine. Per il barbone , come per le ferrovie, iniziava una nuova vita.
La mano gentile della moglie venne a svegliare il vecchietto, con una leggera scrollatina, ed interrompendo l'angoscioso sogno. C'era da portare i nipoti all'asilo. La nonna non mancò di riprendere l'anziano consorte: “ Fino a che ora ieri sera hai visto la TV ? Non credo che ti interessasse poi tanto tanto il dibattito perchè ti sei addormentato prima che terminasse. Mi sono alzata io per spegnere l'apparecchio. Eppure parlavano di ferrovie, dismissioni, unità d'Italia, secessione, gabbie salariali e federalismo fiscale. Tutte cose importanti. Non ti interessano più???“
Ecco perchè il vecchietto aveva avuto quell'incubo.
Gaetano.
Scusatemi. Io appartengo al passato delle FS. Non sono ingegnere e sono contrario al cazzeggio...ferroviario.