Il Don racconta...

Sezione dedicata ai racconti e alle esperienze riguardanti il mondo ferroviario.

Messaggioda fas » 25/06/2012, 18:14

piomboadaletta ha scritto:Poi la smetto con i racconti scemi.

Ma no!
Perchè non apri una bella discussione nella sezione dei "racconti in tema" http://www.bardellarotaia.it/viewforum.php?f=42 ? Immagino che la roba da raccontare non ti manchi!!
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Messaggioda Giovanni Pighini » 26/06/2012, 8:09

Macaco ha scritto:@ Giovanni Pighini.

Nell'evento di venerdì sera le SOR interessate erano due. Una a Milano e l'altra a Torino. Probabilmente venne cancellato anche un altro treno, da Domodossola a Milano, causa mancato arrivo a Domo del materiale che aveva chiesto soccorso. Di materiali di scorta non che ve ne siano tanti. Specialmente quando i treni devono "servire" due distinte regioni. E qui la cosa si fa ancora più complicata dovendo essere le spese ripartite tra i due enti locali committenti. Altro che Società Organizzazione Ritardi. Meglio quando a pagare era un solo Pantalone.


Qui finisco al rogo:
sicuramente la situazione è complicata, ma visto che le regioni non comprano i mezzi di Trenitalia, ma solo il servizio, non vi sono vincoli da questo punto di vista per inviare materiale di soccorso da una regione all'altra: ovvero non è che una regione chiederà i soldi all'altra per aver "prestato" un treno. Anche la divisione interna a TI in certe situazioni è meno netta di quanto sembri: a Verona il deposito è della Cargo ma vi fa manutenzione più la divisione Regionale, a Roma Smistamento (Regionale) vengono a tornire i treni della Pax, a Mestre e Pax ma ci fanno manutenzione anche i regionali....
Certo, la disorganizzazione è sempre tanta: forse tocca seguire l'esempio dei Belgi?
http://www.railwaygazette.com/nc/news/s ... osses.html
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Messaggioda ioannesg » 26/06/2012, 10:48

Se non ricordo male le regioni si sono spartiti anche i mezzi... (a parte quelli acquistati con i soldi delle stesse)
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Messaggioda Giovanni Pighini » 26/06/2012, 12:45

ioannesg ha scritto:Se non ricordo male le regioni si sono spartiti anche i mezzi... (a parte quelli acquistati con i soldi delle stesse)

Sei tu che hai i contratti di servizio sotto mano ;)
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Messaggioda ioannesg » 26/06/2012, 13:05

Lascia stare che a volte pare che chieda documenti Top Secret...
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Messaggioda Macaco » 20/12/2013, 19:53

Forse c'è già, ma ve lo riposto lo stesso perchè ...è sempre attuale.

Appassionati.

Recita un vecchio proverbio dei Pellerossa: "Non giudicare un tuo simile se prima non hai camminato per almeno un anno con i suoi mocassini".

Cosa voglio dire con questo?

Parto con una premessa. In molti Forum Ferroviari ci sono tanti appassionati non ferrovieri, di cui ho avuto modo di apprezzare la loro preparazione e competenza. Sono senza dubbio delle persone da ammirare. Molti di loro sognano di guidare un mezzo di trazione oppure immaginano di operare ad un banco con tante levette di deviatoi, Pl, segnali ed apparati vari. Ma tutto questo per loro non è LAVORO. E' un passatempo e spesso più virtuale che reale, nel senso che non riescono sempre ad essere sui mezzi o negli impianti. Sono convinto che sarebbero degli ottimi ferrovieri. Quale migliore gratificazione di quella di fare un lavoro che piace? Ma c'è un grosso PERO'. La realtà ferroviaria da loro percepita è ben diversa da quella effettiva. E' una realtà subliminata e filtrata da tutti gli aspetti negativi che pur sempre ci sono. Pecche, magagne, disagi e sacrifici che solo vivendo quotidianamente in quella realtà si toccano da vicino. Ecco perchè guardo con occhio bonario gli interventi di tanti appassionati, specialmente se giovani e studenti. Questo quando intervengono con educazione, senza supponenza ed arroganza e, soprattutto, senza la pretesa di insegnare il mestiere senza averne né i presupposti e né i requisiti.
Quando viaggiavo in treno per andare al lavoro trovavo sempre abituali gruppi di appassionati che mi facevano il terzo grado ed io cercavo di soddisfare, per quanto mi era possibile, le loro curiosità. Ma loro, scesi dal treno, se ne andavano lasciando da parte la passione ferroviaria mentre io, arrivato “al fronte”, mi immergevo in quella realtà che loro immaginavano edulcorata ma che in effetti non lo era affatto.

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Messaggioda ioannesg » 21/12/2013, 0:41

Giusto Don, e questo vale non solo nel mondo ferroviario... Un po' troppo spesso si confonde una passione quasi come fosse una professionalità. Senza rendersi conto che dietro quella professionalità ci sono anni di esperienza e preparazione che difficilmente si possono maturare da "esterno".

Non nego che qlc volta anche io pecco un po' di supponenza, ma cerco di mitigarla con spirito critico, desiderio di analisi e voglia di imparare. Non do nulla per scontato. Perchè come dici giustamente, girata la pagina per me rimane una passione, ma per chi ci lavora veramente dentro è pane quotidiano.
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Messaggioda Macaco » 21/12/2013, 10:10

Giuvà, che dire,poi, dei pendolari...

Pendolari.

Smesso di fare i turni, per serie ragioni di salute, passai agli uffici e di conseguenza diventai pendolare, condividendo la triste sorte di tanti lavoratori. Con alcuni divenni anche amico nonchè consulente sulle probabili cause delle anomale o prolungate fermate. Non mancavano mai le frecciatine e le critiche al modo di operare dei miei colleghi. In quelle circostanze cercavo di parare la botta e fornivo una mia personale spiegazione degli eventi ma non giustificavo i ritardi, non potendone conoscere le esatte ragioni. Qualche volta ricorrevo al cellulare di servizio ma il più delle volte preferivo non disturbare chi stava già nella cacca.

Durante questo mio pendolamento ho avuto modo di essere a contatto di tanta e varia umanità di cui conservo dei ricordi abbastanza nitidi che ogni tanto vengono a galla. Uno di questi è relativo ad un viaggiatore abbastanza estroverso e fantasioso.
Quando il treno locale veniva imbucato per cedere il passo ad uno di quei treni che allora si chiamavano in gergo "Must" (gli attuali ES/AV), costui apriva il finestrino e sventolava un fazzoletto sporgendo completamente il braccio e la testa verso l'interbinario. Ciò avveniva regolarmente ogni sera fino a quando non intervenne la polfer a fargli togliere quel pericoloso vezzo di protesta.

Altro caso di perversione pendolare era quella di un tizio che misurava la bravura del macchinista in base alla frenata che faceva in stazione. Egli era solito prendere posto in una determinata vettura ed in base agli anni di esperienza pendolaristica era riuscito a determinare il punto del marciapiede dove si fermava la vettura del suo solito treno. Perciò era attentissimo a controllare la composizione di quel treno nei vari cambi orari e per i primi giorni monitorava attentamente l'evolversi della situazione. Però dopo qualche giorno iniziava ad inveire di brutto quando quella determinata vettura non si fermava nel preciso punto dove lui impassibilmente l'attendeva. Se ciò non avveniva, il tizio si accingeva a salire solo e soltanto sulla "sua" vettura spostandosi lentamente come un bradipo sul marciapiedi. Ed anche qui la storia continuò fino a quando più di un CT minacciò di lasciarlo a terra se non si fosse dato una smossa a salire.

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Messaggioda Macaco » 30/12/2013, 20:27

Forse questo racconto (autobiografico) lo avete già letto da qualche parte, ma lo posto lo stesso.
Adesso perchè domani sera sarete certamente impegnati.
==========
La notte di San Silvestro.

Giovanni ed Elena sonnecchiavano davanti al televisore accesso. Aspettavano la mezzanotte per andarsene a letto. Erano soli nell’enorme casa. I figli erano in giro, con consorti, fidanzati ed amici a festeggiare l’arrivo del nuovo anno.

Gli stanchi vecchietti avevano preferito restarsene a casa, al caldo della stufa. Giovanni, da poco pensionato, aveva passato la mattina con le solite incombenze. Spesa, legna, pulizia della stufa e preparazione del pranzo. Elena, ancora al lavoro, era tornata nel primo pomeriggio. Più stanca del solito, intirizzita dal freddo ed incavolata per il traffico. Nella serata avevano ricevuto degli amici, ma adesso stanchi ed annoiati se ne stavano rannicchiati sul divano circondati dai tre loro gatti ronfanti. Già. Tre gatti. Come i loro tre figli, che, allo stesso modo dei gatti, quando erano piccoli si addormentavano addosso a loro sul divano, allora abbastanza stretto. Continuavano ad abitare nell’enorme casa sopra la stazione. L’ultima stazione e l’ultima delle loro case. C’erano stati tanti traslochi nella vita ferroviaria di Giovanni ed in cinque di essi gli era toccato la sorte di abitare negli alloggi della stessa stazione dove lavorava come capostazione. Adesso, anche da pensionato, le sue giornate, e nottate, erano scandite dal passaggio dei treni. Fu appunto il fischio di treno che lo scosse dal torpore ed allora la mente corse al 31 dicembre di tanti anni fa. Allora era ancora al Sud, in una trafficatissima stazione sul Tirreno. Era giovane e brillante, con all’attivo meriti, promozioni e conseguenti traslochi. Già padre di una bimba di un anno ed Elena in dolce attesa. Il Natale era stato libero dal lavoro ma la notte di San Silvestro gli spettava di turno. Avevano pranzato a casa loro ma la sera Giovanni, prima di andare al lavoro, aveva portato la moglie e la bimba dai suoceri. Voleva che almeno loro passassero il veglione in compagnia ed allegria. Recandosi alla stazione portò con se due panettoni, lo spumante, dei dolci fatti in casa ed un cesto pieno di frutta secca e fresca. Tra un treno e l’altro avrebbe festeggiato con i due collaboratori. Contrariamente alle aspettative il lavoro della nottata si presentava impegnativo e pesante. Il traffico merci, come quello viaggiatori anziché diminuire era aumentato. I mercati del Nord reclamavano verdure ed agrumi e le ferrovie si faceva carico del trasporto. Le autostrade non era state ancora invase dai Tir. Nella stazione di Giovanni tutti i treni provenienti dalla Calabria e dalla Sicilia aggiungevano un altro locomotore in coda, per superare un tratto acclive ed il lavoro era il doppio, se non il triplo, delle altre stazioni. Durante la notte, poi, si svolgeva la maggior parte del traffico merci nonché degli espressi viaggiatori che in mattinata avrebbero raggiunto Milano, Torino o Venezia. E anche questi espressi aggiungevano un locomotore in coda, che poi avrebbe abbandonato il treno in una stazione successiva del percorso. La situazione non si presentava rosea. Chissà se Giovanni sarebbe riuscito alla mezzanotte in punto a stappare le bottiglie.

Il lavoro procedeva alacremente. Giovanni di destreggiava con consumata esperienza a manovrare scambi e segnali, ad impartire precisi ordini ai due manovratori ed ai macchinisti dei locomotori di rinforzo, ad ordinare con il fischietto e paletta la partenza dei treni. Entrava ed usciva continuamente dall’ufficio secondo le esigenze, col berretto rosso sempre in testa, sciarpa e cappotto. Nonostante si fosse al Sud il freddo della notte si faceva sentire. Una gelida tramontana tagliava la faccia e le mani facevano male quando, dovendo scrivere, si dovevano togliere i guanti.. Come se non bastasse, quella notte c’erano anche i biglietti da fare. Avevano dato le ferie al personale ed assegnato al Capostazione tale compito. C’era sempre qualche viaggiatore che si spostava e la biglietteria, comunicante con l’ufficio del Dirigente Movimento, doveva restare aperta, secondo la politica aziendale del tempo. E Giovanni, come un folletto, si barcamenava con professionale freddezza assolvendo anche tale incarico. Non pensava a casa Giovanni. Non pensava ad Elena, alla bimba ed al nascituro. Tutti pensieri che venivano lasciati fuori dell’ambiente di lavoro. Su questo Giovanni era inflessibile. Prima con se stesso e poi con i dipendenti e collaboratori. Prima il delicato e pericoloso lavoro, poi, se c’era la possibilità, la pausa e la distensione. La mezzanotte si stava avvicinando, già si sentivano i botti in lontananza e la speranza di festeggiare l’avvento del nuovo anno sfumava. A questo punto a Giovanni venne l’idea. A mezzanotte e qualche minuto sarebbe dovuto transitare un treno merci diretto al Sud. Non occorrevano manovre di rinforzo in coda, trattamento riservato ai treni in senso inverso. Perché non fermarlo e festeggiare con quei macchinisti l’inizio del nuovo anno? Perché non crearla l’occasione per una sosta? Chissà quando i macchinisti di quel merci avrebbero potuto festeggiare, tra il caldo delle mura domestiche, il nuovo anno?

Non erano da Giovanni le trasgressioni sul lavoro. Testa calda lo era sempre stato però in servizio era inflessibile. Dispregiativamente lo chiamavano il "fascista" anche se lo conoscevano per le sue idee diametralmente opposte. Per tali ragioni quando espose il suo piano ai due manovratori dipendenti, questi restarono allibiti. Ordinò che alcuni petardi ferroviari venissero posti sul binario ad una distanza calcolata dal suo ufficio. Il treno, sentendo lo scoppio sotto le ruote, si doveva fermare, per regolamento, entro uno spazio determinato. Se i macchinisti fossero stati sufficientemente esperti si sarebbero fermati proprio davanti all’ufficio. Così avvenne. Giovanni si fece trovare nel punto giusto con due fette di panettone e due bicchieri di spumante che offrì, con calorosi auguri, agli esterrefatti macchinisti. Il ritardo del treno e la fermata straordinaria trovarono giustificazione nel momentaneo mancato funzionamento di un meccanismo.

Ma la cosa dopo qualche giorno venne a galla. Giovanni venne ufficialmente redarguito e solennemente ammonito ad evitare comportamenti contrari alla regolarità del servizio. Però, in privato, il suo superiore diretto si complimentò per l’iniziativa. I due macchinisti, in seguito, ogni qual volta passavano in quella stazione, vedendo Giovanni, fischiavano e strombazzavano suscitando l’attenzione di tutti.
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Messaggioda Macaco » 03/07/2014, 21:21

In un'altra parrocchia il Don ne aveva aveva parlato. Qualcuno lo ricorda ?
==========
Sogni ed incubi.

Eppure il vecchietto faceva una vita abbastanza tranquilla, per quanto potesse definirsi tale quella di un soggetto sottoposto a continuo monitoraggio sanitario per l'acuirsi di patologie pregresse.

Comunque alla sera gli era stato vietato il vino. Meglio così. Era bastata la sola acqua ad accompagnare la minestrina, la sogliola lessata e la mela cotta. Quindi non c'erano pesi sullo stomaco a tenere lontano Morfeo. Dormiva poco, però erano più gli incubi che i sogni a tenere allertata la mente, provocando tristi e bruschi risvegli mettendo addosso un malumore che permeava anche le ore del giorno.

Un sogno (o meglio un incubo) ricorrente riguardava le ferrovie del passato. Da giovane gli piaceva quell'ambiente ma, con l'età avanzata, si era quasi disintossicato. Però, come ombre di un lontano passato, treni e stazioni emergevano dall'inconscio e prendevano vita nell'attività onirica del povero anziano.

Sognava le grandi stazioni brulicanti di sterminate maree di frettolosi viaggiatori. Operai, impiegati, studenti, commercianti, giovani e meno giovani ma tutti distratti, arrabbiati, scontenti di viaggiare, qualunque fosse la destinazione o la ragione dei loro spostamenti. Nel sogno il vecchio, vedendo tutta quella tristezza, ne restava a sua volta addolorato. Sempre nel sogno aveva suggerito ad una giovane laureanda in psicologia di elaborare una tesi sperimentale di laurea indagando proprio sulla influenza negativa che il pendolarismo genera nelle persone.

Come lo scorrere di un film vedeva nella sua mente lunghe file agli sportelli delle biglietterie, colonne di carretti e carrettini stracolmi di merci di ogni genere trainati a mano da un esercito di laboriosi facchini in livrea, quasi fossero dipendenti di un Grande Hotel. All'interno della stazione vedeva un continuo andirivieni di ferrovieri. Ma la cosa strana era che anche questi avevano una espressione abbastanza corrucciata. La visione notturna proseguiva facendo vedere tutto quel personale in un frenetico lavoro. Alcuni di questi si mostravano addirittura irascibili sia nei confronti del pubblico che verso i propri colleghi.

L'indole curiosa del vecchio era sempre viva, anche nel sogno. Non riusciva a farsene una ragione. Come era possibile che i ferrovieri, lavoratori non a rischio di cassa integrazione e licenziamenti, per giunta con un buon stipendio fossero così scontenti della loro professione. Proprio non se lo spiegava. In altri settori c'era una crisi galoppante, la disoccupazione era alle porte e per molte famiglie si prospettava un futuro fatto di fame, lacrime e sangue. Notava anche che tra le brevissime pause lavorative si formavano gruppi di questi ferrovieri e, alla maniera degli adepti delle società segrete, confabulavano tra di loro quasi tramassero chissà quali piani eversivi. La cosa non passava inosservata. Il vecchietto si agitava nel sonno e la sua mente, anziché riposare, si arrovellava scrutando i capannelli di quei ferrovieri. Sapeva anche che gli incassi in quelle stazioni erano consistenti. Più volte nel corso della giornata le gestioni portavano notevoli somme all'ufficio Cassa, dove passavano gli impiegati della banca a ritirare il contante. A quel tempo non c'era la crisi nelle ferrovie e le grandi stazioni era produttive quasi o più di una fabbrica.

Sempre sognando, gli si accavallavano ricordi di altri e ben diversi ambienti ferroviari. Quelli delle piccole stazioni. Nel sogno associava quella pace e quella tranquillità ad alcuni ferrovieri dormienti all'ombra di un sombrero messicano, in una lunga e ronfante siesta, mentre altri si stendevano sulle panche nelle fresche e deserti sale d'attesa.

Quanto contrasto c'era tra questa visione e quella delle grandi stazioni!!!

Ma, sogno nel sogno, anche questi placidi ferrovieri sognavano e sapete cosa? Di essere nelle grandi stazioni. Di trovarsi in una grande città. Di vivere freneticamente il turno di lavoro, e non ti accorgevi del passare del tempo. E mentre sognava, il vecchietto sentiva, come i sognanti ferrovieri delle piccole stazioni, lo stridere delle cicale nell'afa dei pomeriggi estivi ed il “tac” dello scatto della zona dell'Orologio Registratore. Il bem taceva. C'erano ampi vuoti di circolazione tra i pochi treni del mattino e si aspettavano gli altrettanti pochi treni della sera. Il merci del pomeriggio era stato soppresso.

I ferrovieri, come tutti gli esseri umani non sono mai contenti del loro lavoro. Queste erano le considerazioni che venivano elaborate dalla mente del vecchio mentre gli occhi si muovevano sotto le palpebre chiuse, segnalando una intensa attività cerebrale durante una fase di “sonno rem”.

Il vecchio si sveglia. Deve andare a fare la pipì. Gli succede più volte nella notte. Sono alcuni degli effetti secondari dei farmaci assunti. Il sogno si interrompe ma resta nell'animo un sordo malessere. Se i sogni sono la valvola di sfogo del nostro subconscio, dovrebbero essere liberatori e non creare stati ansiosi. Beate quelle persone che al risveglio non ricordano niente di quello che hanno sognato. Così il povero vecchietto continuava a girasi e rigirasi nel letto e continuava a chiedersi il perchè di quei sogni. Quale recondito messaggio gli stava lanciando la stanca mente? Solo verso l'alba riprese sonno ed il film onirico riprese a scorrere.

Su una fredda panchina all'esterno dei fabbricati di una di quelle grandi stazioni stava sdraiato un barbone lacero, sporco e di età indefinibile. La cosa che incuriosì il nostro sognatore era il vestito , o meglio quello che restava di ciò che una volta era la divisa di un ferroviere. Il barbone parlava da solo ma sembrava raccontare ad una platea immaginaria gli episodi della sua vita. Il vecchio gli si avvicinò ed in silenzio si pose ad ascoltare con attenzione il racconto.

Il barbone era stato un Capostazione. Un semplice DM, uno dei tanti, senza infamia e senza lode, con professionalità sufficiente a farli svolgere le normali mansioni della qualifica. Aveva girato un poco nelle piccole stazioni, prima di approdare in una grande stazione, attirato dal grande Apparato Centrale Elettrico. A dire la verità l'apparato non stava proprio nell'ufficio del DM Interno ma in un altro edificio. Una cabina sopraelevata in cui oltre ai deviatori vi prestava un altro DM. Ma a lui capitò, invece, di essere mandato a fare il DM Esterno, ossia quello che va a fare la paletta ai treni. Con il berretto rosso in testa e paletta sotto il braccio sgambettava per il piazzale, sui marciapiedi, si soffermava a dare informazione ai viaggiatori, andava al bar con i facchini, e parlava con tanti colleghi della stazione. Mangiava nella mensa del dopolavoro ed era un assiduo frequentatore delle attività di questo sodalizio. Frequentando i colleghi venne messo a conoscenza di una quantità di segreti . In primo luogo venne a sapere delle ragioni del malcontento dei ferrovieri delle grandi stazioni. Erano davvero incavolati neri. Loro si sentivano nettamente superiori ai tanti “peones” che lavoravano lungo la linea. Il loro astio nasceva anche dalla quantità del lavoro svolto e della loro alta produttività rispetto a quelli scansafatiche che “riposavano” nelle piccole stazione di linea. Ma ciò che li urtava ancora di più era lo stipendio uguale per tutti. Secondo loro non era per niente giustificabile. Anzi se lo stipendio restava a quei livelli era proprio dovuto alla presenza di tutto quel personale ritenuto eccessivo ed improduttivo. Animati da questi sentimenti si stavano organizzando per fare una rivoluzione. I cospicui incassi della grande stazione doveva servire a pagare i ferrovieri che operavano in quella stazione e non anche gli altri. In questo modo il loro maggior lavoro avrebbe trovato la giusta remunerazione. Altri, invece, più moderati avanzavano altre pretese. La retribuzione dei ferrovieri doveva essere rapportata alla effettiva quantità e qualità del lavoro svolto. Ai ferrovieri veniva data facoltà di scelta delle località dove volevano lavorare. Ne sarebbe scaturita una graduatoria per ogni singola qualifica. Un punteggio aggiuntivo, abbastanza consistente, veniva attribuito ai nati e residenti nel posto scelto. Erano anche convinti, e non a torto, che anche i vertici delle ferrovie erano propensi ad una tale ristrutturazione.
Il barbone non era proprio d'accordo. Lui nelle piccole stazioni c'era stato e sapeva che non era affatto vero che nelle piccole stazioni non si lavorava. Era un lavoro diverso, discontinuo semmai, ma più vario e necessario di molte e diverse professionalità rispetto a quelle specifiche di un agente delle grandi stazioni, addetto esclusivamente ad un ben determinato settore lavorativo. Quell'ex Capostazione portava anche altre tesi a suffragio del suo discorso. Se le grandi stazioni avevano grossi traffici e grandi introiti era anche perché i treni, per arrivare là, dovevano passare per forza anche dalle piccole stazioni. Era come una rete di piccoli fiumi che portano le loro acque ad un fiume più grande, ad un lago od il mare. Eppoi la ferrovia non era una Azienda Unica? Non era forse stata formata unificando diverse società ferroviarie? Non erano forse tutti uguali i ferrovieri?

Esternando queste sue idee il barbone, già ex DM, venne da subito emarginato dai colleghi della grande stazione sia sul lavoro che nelle attività ricreative del dopolavoro. Oggi si direbbe che fu oggetto di “mobbing”, tanto che il povero cristo scelse di tornare a lavorare nelle piccole stazioni. Però, nel frattempo, stavano cambiando tante cose. I vertici delle ferrovie stavano attuando tutta una serie di trasformazioni. Non che volessero dare ascolto alle istanze del personale delle grandi stazioni ma , gettato il seme della “produttività”, ne stavano venendo fuori prima le piante e poi i frutti. Essì ! Entriamo in tema alboricolo. Si inizia a parlare di “rami secchi”, da tagliare per permettere alla pianta di “sopravvivere, crescere e rigenerarsi”. Non era forse ciò che volevano i ferrovieri delle grandi stazioni? Così il barbone, iniziò a passare da una stazione all'altra man mano che esse venivano chiuse, perdendo un poco alla volta l'affezione per il proprio lavoro e fino a soffrirne tanto da dare un calcio alla vita civile lasciandosi andare all'alcol ed alla solitudine. Per il barbone , come per le ferrovie, iniziava una nuova vita.

La mano gentile della moglie venne a svegliare il vecchietto, con una leggera scrollatina, ed interrompendo l'angoscioso sogno. C'era da portare i nipoti all'asilo. La nonna non mancò di riprendere l'anziano consorte: “ Fino a che ora ieri sera hai visto la TV ? Non credo che ti interessasse poi tanto tanto il dibattito perchè ti sei addormentato prima che terminasse. Mi sono alzata io per spegnere l'apparecchio. Eppure parlavano di ferrovie, dismissioni, unità d'Italia, secessione, gabbie salariali e federalismo fiscale. Tutte cose importanti. Non ti interessano più???“

Ecco perchè il vecchietto aveva avuto quell'incubo.
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Messaggioda fas » 05/07/2014, 10:47

Complimenti per il racconto, l'ho letto tutto d'un fiato: più che un sogno mi sembra la triste realtà...

Macaco ha scritto:In un'altra parrocchia il Don ne aveva aveva parlato. Qualcuno lo ricorda ?

Al momento non mi viene in mente nulla :oops: , potresti darmi qualche riferimento?
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Messaggioda Macaco » 05/07/2014, 14:46

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Messaggioda fas » 06/07/2014, 10:27

Grazie, l'avevo completamente dimenticata.
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